mercoledì 9 gennaio 2013

Il Museo dalle Muse all'ostentazione

Musei capitolini
Nella post-modernità il museo appare concepito come un'opera d'arte, nella sua pretesa di essere oggetto artistico che espone se stesso. Gli oggetti sembrano avere un ruolo di secondo piano rispetto all'architettura che viene esibita, glorificata e magnificata dall'archistar che sembra porsi come nuovo profeta del proprio tempo. Ce ne parla questo interessante articolo di Andrea dell'Asta

Il Museo è sempre stato un luogo destinato ad accogliere la memoria di un popolo, di una civiltà. La sua storia è lunga e complessa. Occorre infatti risalire ai tempi dell'antica Grecia, in cui il termine mouseion designava la casa delle Muse, figlie di Zeus, protettrici delle arti e delle scienze, e di Mnemosine, dea della memoria. Ilmouseion è dunque da un lato strettamente legato al divino, è olimpico, e dall'altro, in un processo di anamnesi, ha la funzione di ricollegarci a ciò che sta all'origine del tutto, riconducendoci alla verità delle cose. Dal punto di vista architettonico, il mouseion è il tempio dedicato alle Muse e sarà chiamato con questo nome l'edificio costruito ad Alessandria d'Egitto nel III secolo a.C., celebre per la sua biblioteca, splendido spazio che accoglie il sapere del tempo, in cui l'uomo cerca di compiere una sintesi di tutte le sue ricerche. 
Da lì a luogo di raccolta di oggetti di particolare valore o interesse il passo è breve. Se in epoca romana nel museo si esponevano i bottini di guerra e i trofei, come le statue trafugate dalla Grecia, nel Rinascimento, il museo diventa luogo di conservazione e di contemplazione, spazio delle Wunderkammer, delle gallerie e dei gabinetti dei prìncipi. Nasce così il primo museo, quello capitolino a Roma
nel 1471, da una donazione di papa Sisto IV alla città e ordinato nel 1733 sotto il pontificato di Clemente XII. 
Il museo rinascimentale anticipa il museo moderno. Pensiamo agli Uffizi di Firenze, progettati come uffici, poi destinati ad accogliere la collezione medicea. Il Signore della città può esprimere i segni del proprio prestigio, che diventa in seguito gloria della stessa città fiorentina. Da strumento di recupero della memoria storica o di classificazione enciclopedica del creato, il museo diventa lentamente uno straordinario strumento di ostentazione del prestigio politico, economico e culturale di un popolo. 
Con l'epoca napoleonica, si raccolgono le maggiori opere d'arte appartenenti ai paesi di volta in volta occupati dai francesi, per diventare luogo di ricerca scientifica, ma anche luogo di conservazione e di tutela dei beni culturali e di educazione. Pensiamo al Louvre di Parigi o al British Museum di Londra… Il museo si fa sintesi di un passato universale, accogliendo le esperienze culturali di tutto il mondo. Acquisisce una funzione pubblica e sociale. Diventa "popolare", aperto a tutti. 
Nella post-modernità, il suo significato cambia radicalmente. Appare concepito come opera d'arte, nella sua pretesa di essere oggetto artistico che espone se stesso. Tuttavia, non sembra più in grado di accogliere la memoria di un popolo, di una fede, di una tradizione. Gli oggetti sembrano avere un ruolo di secondo piano rispetto all'architettura che viene esibita, glorificata e magnificata dall'archistar che sembra porsi come nuovo profeta del proprio tempo. Di fatto, che cosa vanno a vedere le migliaia di persone in coda per entrare in questo antro misterioso dalle forme così ardite e inconsuete? 
Il Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry o il Maxxi di Zaha Hadid di Roma sono solo due esempi di architetture che fanno emergere questa contraddizione. Mostrano se stessi, nella pretesa di porsi come centro dell'attenzione, piuttosto che presentarsi come spazi destinati ad accogliere, a conservare, a valorizzare. Spazi autoreferenziali destinati a eventi auto-celebrativi. Pensiamo al Maxxi. All'interno, prevalgono interminabili corridoi, lunghe pareti curve senza alcuna giustificazione espositiva. L'importante non sono le collezioni ospitate, ma l'architettura che le accoglie. Il museo rappresenta se stesso. È come se fosse messa in atto una dislessia simbolica. Il museo rischia di diventare un contenitore vuoto, un idolo, espressione di una civiltà fatua, priva di consistenza, perché non ha più "memorie" da trasmettere, valori da comunicare. Si auto-espone, ponendosi come costruzione gigantesca, al pari di una nuova torre di Babele, che garantisca la gloria al nome della città che l'ha ospitata, nel desiderio di apparire nelle guide turistiche. Diventa il segno di un valore svuotato. 
Se andando in qualche piccolo museo della Toscana siamo rapiti dall'orgoglio e dalla passione di chi ci accompagna nel "loro" minuscolo museo, queste nuove architetture si fanno invece impersonali, algide, nella loro spregiudicata arditezza. Certo, inducono una grande quantità di turisti a varcare questo "nuovo tempio" della cultura, quasi si trattasse di una nuova forma di religione, ma sono pensate per eventi verticali. 
Quale è allora il ruolo del museo contemporaneo? Quella di significare un mondo che non ha più nulla da comunicare, se non la predizione della fine annunciata di una… civiltà senza valori?

Maxxi

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