martedì 12 giugno 2012

La resurrezione di Lazzaro del Caravaggio restaurata






La Resurrezione
splendori e segreti

di FABIO ISMAN

DOPO 60 anni esatti, Caravaggio è tornato dal medico e si è fatto curare: la Resurrezione di Lazzaro, tarda meraviglia eseguita nel 1609 a Messina dove è, sarà mostrata a Palazzo Braschi, da venerdì al 15 luglio, dopo sette mesi di lavori all’Istituto centrale del Restauro che ha restituito colori e leggibilità all’opera, assolutamente ossidata e spenta, regalando anche tante sorprese. Il Messaggero ha ammirato in anteprima il risultato, e discusso con i medici che hanno guarito l’immensa tela, tre metri e 80 per due e 75, pagata, per Francesco Susinno, lo sproposito di mille scudi dal genovese Giovanni Battista de’ Lazzari (e per Lazzari, Caravaggio dipinge Lazzaro), amico d’un committente ligure dell’artista, Ottavio Costa. A Messina, Lazzari aveva una banca, il porto era allora tra i più rilevanti nell’intero Mediterraneo e non solo; la tela era per una sua cappella.
«Abbiamo scoperto che Merisi usa solo prodotti locali: la calce della preparazione contiene perfino resti fossili di conchiglie», racconta Anna Maria Marcone, che all’Istituto dirige i laboratori ed ha capeggiato l’intervento; «nella preparazione scura, ci sono le sue tipiche incisioni: per delimitare le figure, o indicarne l’inclinazione. E ancora, abbiamo scoperto che il quadro è costituito da cinque teli verticali e uno orizzontale; la cucitura orizzontale è più grossolana; la banda in basso, senza figure, è certamente successiva: l’opera era già stata inchiodata, ed abbiamo trovato i fori, prima che venisse aggiunta. Probabilmente, Caravaggio ha dipinto senza conoscere le misure dell’altare al quale la pala era destinata».
Il Genio aveva una gran fretta. «Ci sono mani dipinte per metà: il resto è preparazione; anche dei volti. Risaltano ancor meglio le lame di luce da cui cava le figure, come diceva Cesare Brandi, che nel 1951 restaurò l’opera per la prima volta. Sull’osso al bordo inferiore, l’artista crea la luce dipingendovi sopra una semplice serpentina». Occupa solo metà dell’immensa tela: la parte superiore è priva di figure. Accenna appena le pennellate sul corpo di Lazzaro: «Sembra arte moderna; ricorda l’ultimo Tiziano, il suo non finito», spiega Daila Radeglia, funzionaria che ha diretto l’operazione. «La luminosità del dipinto era perduta al 70 per cento», dice Fabio Aramini, del laboratorio di Fisica dell’Istituto, compiendo le misurazioni: finalmente, ora le figure risaltano. Nel 1951, i mezzi erano quelli che erano: si usò una resina naturale ormai caduta in disuso, che, nel tempo, ha creato problemi; gialla, poco trasparente, aveva causato quasi un cretto, tante crepe. «Il quadro è fragile; abbiamo usato un gel speciale, per non far penetrare negli strati di pittura i solventi», spiega Anna Maria Marcone. E il risultato è del tutto imprevisto, superiore a qualsiasi attesa; un capolavoro oggi ritrovato, che da sempre aveva dato grandi problemi. Andrea Suppa, che lo restaurò quando il quadro aveva appena 60 anni, morì d’infarto credendolo perduto nel tentativo di dargli luce. Gisella Capponi, la direttrice dell’Istituto, ricorda quello che, oggi, pare un paradosso: la Resurrezione era nella chiesa dei Crociferi (e si ignora come fosse la sua cappella), demanializzata e distrutta nel 1879 per creare la Camera di Commercio. E per fortuna non era più lì, ma in deposito, quando arriva nel 1908 il terremoto: distrutto l’edificio, ma salva la tela.
A guardarla, ci si ritrovano numerosi soggetti tipici di Caravaggio: una mano è analoga a quella della Cattura di Cristo di Dublino; la Maddalena, all’Annunciazione di Nancy; e su tutto, vicino al Cristo, l’autoritratto di lui: le mani giunte, quasi a supplicare il perdono. Il documento siciliano di questo quadro lo definisce ancora «cavaliere gerosolimitano»: non lo era più; a Malta lo avevano buttato fuori (e in carcere); era fuggito dall’isola come già da Roma nel 1606, per l’uccisione di Ranuccio Tomassoni. Gli restavano un anno da vivere, la fuga a Napoli, quella vana verso la capitale dei papi e la grazia. Chissà perfino se è passato da Palermo: la Natività, rubata dalla mafia nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo, magari l’ha spedita.
Resta da dire chi ha compiuto questo miracolo, e chi lo ha reso possibile. Con Anna Maria Marcone, altri due docenti dell’Istituto, Carla Zaccheo e Emanuela Ozino Caligaris, «aiutati da cinque bravissimi allievi», dice la Marcone, «pagati duemila euro per sei mesi di lavoro; devo citarli: Mauro Stallone, Giorgia Pinto, Federica Cerasi, Alessandra Ferlito, Elena Santoro». Questi e altri fondi li ha forniti Metamorfosi, un’associazione culturale romana che realizza esposizioni (soprattutto con Casa Buonarroti a Firenze e la Biblioteca Ambrosiana a Milano), di cui è presidente Pietro Folena, un passato politico nei Ds. Spiega: «Più che essere mecenati, proviamo a risolvere problemi. In mostra, grazie alla Rai, ci sarà un video del 1974 di Giorgio Bassani, con la storia del restauro del 1951 e dell’Istituto, che poi accompagneranno la tela a Messina». Il resto è organizzato da Zetema, che gestisce il Palazzo e i musei romani.
Un ultimo codicillo: adesso che la Resurrezione è stata restaurata come si deve, non la si faccia viaggiare, per favore, di continuo. Ai quadri, fa male. Sei Caravaggio, dopo essere andati a Mosca, sono ora a Belo Horizonte, in Brasile, alla Casa Fiat della Cultura. Saranno ambasciatori d’italianità; ma per loro, ogni viaggio è uno stress grave.

dal Messaggero

La "Resurrezione", dal 15 giugno al 15 luglio, sarà mostrata a Palazzo Braschi, nella capitale, e farà ritorno al Museo Regionale di Messina non prima del 22 luglio.

 

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