giovedì 16 febbraio 2012

Le ceramiche di Giò Ponti


amore per l'antichità
Tra le opere più affascinanti del Novecento italiano annovero di certo le ceramiche di Giò Ponti. Ponti, architetto e designer italiano, proprio in questi oggetti decorativi ha dato il meglio di sè per la freschezza dell'inventiva, la genuinità del disegno sintetico e l'unione di tante e svariate influenze in un'unico stile ecclettico e ricercato. I decori ispirati all’arte greca, romana, etrusca e all’architettura palladiana ma anche alle recenti conquiste del cubismo (analitico e sintetico) e dell'astrattismo sono quanto di più studiato e spontaneo allo stesso tempo. Mai una linea di troppo o un contorno che sfiora la retorica delle forme, mai un tentennamento nel segno o nella struttura. Tutto è calibrato e armonico col colore, mai invasivo, che costruisce la struttura più che decorarla. Inizialmente nelle ceramiche il suo disegno riflette la Secessione viennese e sostiene che decorazione tradizionale e arte moderna non sono incompatibili. In seguito riscopre i valori del passato, il razionalismo e il realismo magico tanto che trova sostenitori nel regime fascista incline alla salvaguardia dell’identità italiana e al recupero degli ideali della “romanità” che si esprimerà poi compiutamente in architettura con il neoclassicismo semplificato del Piacentini. Bellissimo l'originale e vitale recupero dell'antichità. "Non è il cemento, non è il legno, non è la pietra, non è l’acciaio, non è il vetro l’elemento più resistente. Il materiale più resistente nell’edilizia è l’arte" soleva ripetere l'artista e allora si comprende come queste ricerche di designer non tentavano tanto ad estetizzare l'oggetto comune quanto riscoprivano tutta la prassi della bottega che creava, anche l'accessorio più inutile con la stessa perizia e attenzione adoperate ad esempio per una tela. La serie più significativa è stata quella realizzata dalla manifattura Richard Ginori, di cui Gio Ponti fu direttore artistico negli anni Venti, con la produzione che si colloca tra il 1923 e il 1930 destinata alla ricca borghesia milanese. 

"Le opere rivelano l’originalità e la straordinaria modernità di questo “neoclassico a Milano”, come fu definito da un critico d’eccezione quale Carlo Carrà, che recensì la primaMostra internazionale di arti decorative a Monza nel 1923, elogiando il giovane architetto per le sue prime ceramiche. E si può tranquillamente affermare che il grande pittore aveva visto giusto, dato che due anni dopo Ponti presentò le sue opere alla Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes a Parigi, vincendo il “Gran Prix”. Le immagini su vasi, centritavola e maioliche traggono ispirazione dall’antichità classica per le figure mitologiche, ma non mancano vedute prospettiche di chiaro stampo rinascimentale o ancora, sfondi teatrali e personaggi Déco, fusi in uno stile nuovo e inconfondibile che sembra quasi surrealista. Il tutto è sospeso, infatti, in una dimensione quasi metafisica, come sospesi sono i personaggi e gli oggetti raffigurati: donne formose avvolte tra le nuvole, animali, clown, barche. Il richiamo all’antico è facilmente riconoscibile: ogni opera presenta forme e decorazioni che si rifanno all’arte vascolare greca, etrusca e romana, come coppe e cisti (c’è anche quella che Ponti dedicò al più temuto critico di allora, Ugo Ojetti).Ad introdurre la mostra, una decina di grandi foto che riproducono particolari del Pirellone: buona l’idea di riutilizzare proprio il 'contenitore' della mostra per confrontare spazi e linee con le ceramiche (e questo fa la differenza rispetto alle tante altre mostre analoghe sul Ponti ceramista, recenti e lontane). Peccato che manchino le informazioni sulle architetture; e comunque si sarebbero potuti aggiungere altri scatti nel percorso, ad esempio in fondo nell’ultimo angolo rimasto 'sguarnito'" (fonte).

Per approfondire consiglio questo libro: Giò Ponti. Il fascino della ceramica.
prospettiva



putti con serpente




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