giovedì 28 maggio 2009

Elogio del Nulla

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L’immagine che vedete sopra non è la foto di una cornice d’epoca o qualche installazione contemporanea che indaga sulla semiologia dei limiti fisici dell’opera d’arte; se “Las Meninas” di Velazquez ci ha fatto riflettere sull’ambiguità dello sguardo e sul doppio gioco dell’opera d’arte in quanto autenticazione e negazione di se, l’artista di quest’opera ha portato al limite semantico il genere della natura morta.

Cornelius Norbertus Gijsbrechts (1630-1675), fiammingo attivo alla corte di Danimarca, si specializzò in complessi ed ermetici “trompe l’oeil”, utilizzando anche figure sagomate e associando al carattere intellettualistico dei suoi inganni pittorici quello moraleggiante della “Vanitas”.

Cornelis_Norbertus_Gysbrechts_005Trompe l'oeil Cornelis_Norbertus_Gysbrechts_004Autoportrait à la nature morte

Le sue opere, volutamente ambigue, sono immagini del dipingere in quanto non mostrano l’inganno della pittura con una semplice ricostruzione mimetica, ma presentano il processo, gli oggetti, la falsità delle opere e della tela nelle pieghe cadute; nel farlo però usa il trompe l’oeil contraddicendo il suo svelare.

Dipingere un quadro girato o una natura morta in quanto tale (tela compresa), o una semplice parete con dei fermacarte è un paradosso pittorico ma anche una meditazione metapittorica sull’immagine e sulla sua autenticità.

Anche le Vanitas non sono da meno; in questo senso il tema della caducità della vita si lega alla falsità dell’immagine e ai rischi dell’inganno ottico.

Cornelis Norbertus Gijsbrechts, Flemish

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Per tornare sull’immagine della cornice il primo paradosso è dato dal fatto che il pittore sul diritto del quadro raffigura il suo rovescio, realizzando così una tela con due rovesci (uno originale ed uno dipinto); in realtà lo spettatore, tratto in inganno, era portato a girare il dipinto ed a trovarvi la tela, vera, tesa sul telaio; avrebbe compreso allora che quello che aveva visto era la rappresentazione di quello che stava vedendo: una tela appunto, o meglio, il nulla. Il soggetto del quadro è il quadro in quanto cosa materiale e in quanto illusione dei sensi. Si vedono i telai, la loro ombra, la trama della tela, il numero 36 (che indica come quella tela sia la trentaseiesima di una raccolta) ma non si vede, ne si potrà mai vedere, ciò che la tela raffigura in realtà, un’idea conservata solo nella mente del pittore. Cornelius, come osservato anche nelle altre opere, usa molto il tema del paradosso ricollegandosi al genere retorico dell’elogio sul nulla; la sua poetica della dissociazione suggerisce il tema della rappresentazione in toto come Vanitas, in quanto ogni opera d’arte, in quanto paradosso del vedere (supporto, immagine, realtà), non è che illusione e nulla.

L’opera non rappresenta altro che la negazione di se stessa, e sul suo negativo si ripiega.

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Del resto, anche storicamente, il tema dell’elogio sul nulla, comparso nel ‘500, ha il suo culmine proprio nel periodo del pittore; risale infatti al 1661 la pubblicazione del Tractatus philosophicus de nihilo, di Martinus Schoockius, che in appendice riprende due delle più importanti opere precedentemente scritte sullo stesso argomento: il Carmen de nihilo di Jean Passerat (Passeratius) e il Tractatus de nihilo di Charles Boville (Carolus Bovillus). Schoockius sostiene che discorrere del nulla è un paradosso: se si dice che nulla è qualcosa (nihil est aliquid) la copula introduce la nozione dell’essere nel campo del non essere. Il discorso de nihilo trasforma il nulla in qualcosa (hoc nihilum factum est aliquid).

Discorrere di nulla, però, è accettare che il nulla sia pur sempre qualcosa. È così che nasce il super paradosso, quasi un’ossessione per tutto il 600: l’elogio del nulla, che rappresenta il culmine della meditazione sulla vanità delle cose, è in se stesso nulla, poiché ogni paradosso, in quanto figura dell’arte, è una vanitas.

Ma questo Duchamp lo aveva capito fin troppo bene; La boîte-en-valise (o semplicemente Valise) è una serie di opere d’arte dell’artista le quali riproducono le sue maggiori realizzazioni; delle valigie di proprie opere che sono al tempo stesso proprie opere diverse; una sorta di cabinet de curiositè portabili e paradossali. In particolare La boite-en-valise è composta di una valigia contenente 69 riproduzioni dei suoi principali lavori, più numerose fotografie e piccole repliche dei suoi principali ready-made.

MDboite 20060909boite-en-valise

Ma di paradossi, in particolare nell’arte contemporanea, ce ne sarebbero molti altri a cominciare dalla “Merda d’artista” di Manzoni per finire al Teschio di Hirst “For the love of God”, se vogliamo una sorta di Vanitas moderna la quale pone il problema del valore dell’opera d’arte visto che, data la preziosità dell’oggetto, non si comprende se il prezzo esorbitante sia dato dal suo valore intrinseco o dal valore derivato in quanto oggetto artistico (il che sarebbe come pagare 15 euro una banconota da 10).

hirst-for the love

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